I Racconti di Hooper's Town
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Namid è un ragazzo di città in tutto e per tutto, ma gli serve un cambiamento. Stanco di manovre politiche e pretese varie, conseguenze dell’essere un medico a Chicago, si trasferisce più a ovest, per la precisione a Hooper Town. Sta per scoprire che “cittadina caratteristica” è un eufemismo per “completamente assurda”.
Tra verande che assalgono la gente, orde di gatti enookomis che lo spiano come falchi, c’è un solo motivo determinante per cui Namid accetta di restare nella piccola città: un cowboy recluso che si da’ il caso lui abbia salvato da un incendio. Se poi riuscisse anche a trovare un modo per dire a Dusty che l’intera città spettegola allegramente su loro due e sul fatto che stiano insieme, sarebbe perfetto...
Publisher: Mischief Corner Books
Editors:
Cover Artists:
Translators:
Genres:
Pairings: M-M
Heat Level: 3
Romantic Content: 3
Ending: Click here to reveal
Character Identities: Bisexual, Demisexual
Tropes: Cultural Differences, Fairy Tales Revisited, Interracial Relationship
Word Count: 436522
Setting: Dakota
Languages Available: English
Series Type: Continuous / Same Characters
Estratto - Capitolo Uno
Era una piccola, semplice casa in stile ranch, con una veranda fatiscente e scalini dall'aspetto precario. I ciottoli del vialetto avevano visto giorni migliori, la vernice era sbiadita e, in alcuni punti, scrostata, e le persiane avevano l'aria di poter precipitare a terra al minimo soffio di vento.
Forse non ci abitava più nessuno.
READ MOREMa Namid aveva visto una corda per stendere i panni sul retro, con diversi abiti che ondeggiavano alla brezza. Non li aveva visti bene, però, considerata la distanza. Poteva benissimo trattarsi di semplici stracci.
Da una parte, avrebbe voluto dare un'occhiata più approfondita per accertarsi di non avere le traveggole, ma dall'altra non voleva essere accusato di violazione di domicilio da chiunque fosse passato di lì, o magari dallo stesso padrone di casa – se era in casa. I padroni di casa incazzati non erano divertenti, e da quelle parti la gente era provvista di fucili.
Belli grossi.
Namid si dibatté per un momento nell'incertezza, cercando di decidere se fosse il caso di andare a bussare alla porta. Un forte soffio di vento decise per lui. Rabbrividì. Aveva i piedi congelati. Iniziò a percorrere il vialetto. Sperava che chiunque abitasse nella casa dei fantasmi fosse amichevole. In caso contrario, lo aspettava una lunga camminata verso casa sua. Non aveva con sé il cellulare, quindi non poteva chiamare nessuno. Non che conoscesse qualcuno in quella piccola cittadina Dakota, comunque.
Avrebbe dovuto indossare un paio di scarpe prima di uscire di casa, ma era stato così preso dal pomeriggio soleggiato e dall'esplorazione del suo nuovo quartiere, che non ci aveva proprio pensato. Quando aveva girato nel cortile sul retro della casa, la vista del paese gli era parsa molto interessante. Dopo aver percorso Hooper's Square, aveva notato l'ex cortile della scuola e aveva oltrepassato la ringhiera di metallo; qui si era ritrovato al confine della cittadina, e la vista dei campi gli era sembrata magnifica. Namid non aveva saputo resistere e aveva continuato a camminare. E poi, all'improvviso, raggi arancioni e rosso scuro avevano striato il cielo e il sole aveva iniziato a tramontare. La temperatura era precipitata e aveva cominciato a soffiare un'aria decisamente fredda.
Per questo motivo Namid si ritrovava adesso a percorrere il vialetto di una casa che sarebbe stato più facile abbattere che ristrutturare, un edificio inquietante che probabilmente poteva far crollare solo appoggiandovisi con una mano. In realtà non aveva nessuna voglia di bussare a quella porta, come non ne aveva di scoprire chi potesse vivere volontariamente in un posto del genere. A volte, però, non si ha altra scelta.
L'immagine di una vecchia gattara senza denti gli apparve in testa mentre alzava il pugno per bussare. Namid scoppiò a ridere così forte che dovette girarsi e impegnarsi per riprendere un contegno decente.
Che razza di tremendo pregiudizio. Non era giusto, proprio no.
Dopo essere finalmente riuscito a tenere l'ilarità sotto controllo, Namid si volse di nuovo verso la porta e bussò sul legno consumato. Fece un passo indietro e attese. Dall'interno non giunse alcun rumore. Provò ancora, e ancora una volta avvertì una fastidiosa sensazione.
Cacchio. Forse in quella casa c'erano davvero i fantasmi. E allora sì che sarebbe stata una fregatura.
Namid iniziò a scendere i gradini, preparandosi a una lunga camminata, quando con il piede colpì qualcosa. Una fitta lancinante lo attraversò fino alla caviglia.
"Ahia!" Namid si sedette, stringendo fra le mani l'alluce pulsante. "Cazzo."
Ispezionando il danno, fu scosso da un brivido. Dal dito sgorgava del sangue, l'unghia si era spezzata a metà. La pelle era completamente lacerata. Namid aggrottò la fronte. Doveva tornare a casa per esaminare meglio la ferita. Probabilmente avrebbe avuto bisogno di punti.
Ma contro cosa aveva sbattuto? Guardò attentamente le scale, alla ricerca dell'oggetto incriminato. Una grossa scheggia di legno sporgeva da uno dei gradini.
Ecco svelato l'arcano. Restava un'unica incognita: come tornare a casa con il piede in quelle condizioni?
Andare a piedi fino alla clinica con un alluce sanguinante era una pessima idea. Namid non voleva correre il rischio che la ferita s'infettasse. Doveva fare qualcosa.
Afferrò un lembo della t-shirt che indossava. Poteva usarla per bendare il piede, ma poi si sarebbe congelato durante il cammino. Beh, meglio che niente. Iniziò a sfilarsela dalla testa.
Era a metà del procedimento quando si ricordò degli indumenti stesi sul retro della casa. Perfino uno straccio era meglio che congelarsi i capezzoli. Sperava solo fossero puliti. Di recente aveva piovuto, ma poi era spuntato il sole. Un uomo poteva pure sperare.
Alzatosi con cautela, Namid provò ad appoggiare il peso del corpo sul piede ferito per vedere quanto poteva sopportarne.
"Hoop... ahia!" Inspirò profondamente. "Non ce la posso fare."
Che situazione di merda.
"'Fanculo!"
Merda a secchiate, proprio.
"Caaaazzo!"
Ok, adesso si sentiva un po' meglio. Forse era vera quell'assurda teoria secondo cui imprecare quando ci si fa male fa sentire le persone molto meglio. Si meritava un Premio Nobel. Di sicuro con lui funzionava. Ogni. Cazzo. Di. Volta.